venerdì 29 novembre 2013

Ulisse e la Madre

Omero, Odissea, XI, 152-207
in: Giovanna Bemporad, Odissea, ERI, Torino, 1970

Io lì fermo restai, finché mia madre sopraggiunse
che bevve il nero sangue e mi conobbe,
e tra il pianto disse a me parole alate: 
«Come scendesti, figlio mio, da vivo
nell’ombra tenebrosa? Arduo è vedere
questi luoghi, ai viventi. E grandi fiumi
vi sono in mezzo, e orribili correnti, 
e l’Oceano, anzi tutto, che uno a piedi
non può varcare, se una bella e salda
nave non abbia...».
Disse; e allora parlando io le risposi: 
«O madre mia, necessità mi spinse
quaggiù nell’Ade, a interrogare l’ombra
del tebano Tiresia; e non ancora 
giunsi presso all’Acaia, e non ancora
sopra la nostra terra io misi il piede, 
ma sempre vado errando, affanni soffro, 
da quel giorno che a guerreggiare
contro i Teucri, Agamennone divino
seguii, verso Ilio ricca di puledri. 
Ma tu parla sincero, e questo dimmi: 
quale fato di morte, lungo strazio, 
ti ha sopraffatta? un lento morbo? o forse
ti colpì coi suoi miti dardi e uccise
la saettante Artemide? E del padre
dimmi, che lasciai...». Dissi e
subito a me rispose l’augusta madre:
«... Là nei campi resta tuo padre,
e alla città non scende;
né letti ha per sdraiarsi, né tappeti
splendidi o coltri, ma in inverno
dorme in casa presso il fuoco,
nella cenere, e vesti umili ha indosso.
Quando viene l’estate, o il ricco autunno,
per lui bassi giacigli di ammucchiate foglie
si fanno ovunque, sul declivio 
del fertile vigneto: e qui egli giace
dolente, e accresce in cuore la sua pena 
sognando il tuo ritorno, e una vecchiezza
dura gli è sopra. Anch’io così mi spensi,
compiendo il fato, e non la saettante, 
che dritta mira, coi suoi miti dardi 
mi colse e uccise nelle stanze, e morbo
non mi assalì... ma il rimpianto di te, nobile Ulisse,
del tuo senno e del tuo tenero affetto, 
mi ha tolto il bene della dolce vita». 
Disse: io, tra me pensando, avrei voluto
l’ombra abbracciare della madre morta. 
Tre volte mi slanciai, mi urgeva in cuore
di abbracciarla, e tre volte dalle braccia
mi volò via, simile ad ombra o a sogno.


martedì 12 febbraio 2013

Nella scuola di Pasolini


Siamo in tempo di guerra e dal settembre del ’43 Pasolini è a Casarsa, da dove nel 1944 si sposterà poi a Versuta, una piccola frazione del paese, per abitarvi con la madre e il fratello sfollati. Lì il poeta mette in atto tutta una serie di iniziative culturali, tra cui la più importante è una sorta di “scuola popolare” in cui impartisce gratuitamente lezioni agli studenti del luogo, per lo più figli di contadini, impossibilitati a seguire i corsi regolari a causa degli eventi bellici. Prima di quella esperienza, Pasolini aveva già aperto una scuola appunto a San Giovanni, dove ad affiancare Pasolini come docenti giungono alcuni amici del milieu bolognese. Giovanna Bemporad è una di loro, accanto a Riccardo Castellani, Cesare Bortotto, il pittore Rico De Rocco e la violinista Pina Kalč.

Nella scuola di Pasolini viene insegnata la letteratura italiana, quella delle straniere moderne, quella latina e greca. L’esperienza in realtà dura solo pochi mesi (dall’ottobre del ’43 al febbraio del ’44) perché la scuola viene chiusa dalle autorità in quanto ritenuta illegale. A questa esperienza fa in parte riferimento la finzione narrativa di Atti impuri, il romanzo in larga misura autobiografico pubblicato soltanto dopo la morte di Pasolini.Alla scuola di San Giovanni, in particolare, Giovanna Bemporad, che era nata a Ferrara nel 1928 da una famiglia di origine ebraica, porta, insieme a un certo anticonformismo di atteggiamenti che la avvicina psicologicamente allo stesso Pasolini, la propria competenza nel campo delle letterature classiche. Aveva infatti realizzato, ancora adolescente, una traduzione in endecasillabi dell’Eneide di Virgilio.

http://pasolinipuntonet.blogspot.it/2013/01/centro-studi-pasolini-di-casarsa.html
In seguito si dedicherà alla traduzione, sempre in endecasillabi, dell’Odissea di Omero. Un’esperienza, questa, di traduttrice dell’Odissea, che la impegnerà per molti decenni. Il poeta Giovanni Raboni ebbe modo di definirlo un lavoro “di infinito perfezionamento ritmico e sonoro, teso a restituire all’endecasillabo il suo diritto a esistere nella Poesia del Novecento con una pronuncia originale e moderna. È quasi impossibile, nel suo caso, fare distinzione fra testi originali e testi derivati”.

domenica 13 gennaio 2013

Nausicaa '88


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L'eccentricità di Giovanna Bemporad; il suo talento; e le stereotipìe nelle quali si era fissata la sua vita dopo quello che lei considerava il tradimento dei letterati e degli artisti; la sua vena poetica che, compressa in un senso, si esprimeva in tanti altri. I suoi versi classici finivano sempre in una modernità sua originale.
                   Ho annotato il suo metodo compositivo che si sviluppava a ugual distanza dall'indagine scientifica delle possibili permutazioni linguistiche e dall'esercizio cibernetico delle possibili disposizioni matriciali del testo poetico: la 'costrizione' delle misure ritmiche era la matrice sicura con cui calcolare.
         Lo stile collaborativo e la scelta di fare poesia per interposto poeta. La  padronanza della lingua, unita a talento e cultura particolari, e alla distanza storica dei classici , le consentivano di scrivere liberamente con  variazioni ispirate, col fare inclusivo che sperimentava apertamente con noi. 

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mercoledì 9 gennaio 2013

Bemporad_Lab

[La.Ca.B.1985] Apre lo spazio di Monteverde,produzioni video da cui  Videor rivista di poesia.
LABORATORIO DI POESIA | GIOVANNA BEMPORAD

[1985] Reading estesi al commento



Tirar tardi, ma l'espressione non rende i tempi di vita e di lavoro di Giovanna Bemporad. L'espressione è misurata sui tempi delle nostre giornate, scandite dalle routines ordinarie.
Giovanna aveva semplicemente traslato i tempi di veglia/sonno/lavoro/impegni, magari anche con permutazioni opportune di giorno in giorno per trovare concentrazione nella quiete delle ore notturne nel suo studio nel piano superiore della casa. Non era raro che si trovasse frastornata nelle luci dell'alba attenta ad adempiere ai suoi obblighi familiari.
Avendo ripreso proprio in quegli anni (siamo nel pieno degli anni ottanta) a frequentare l'ambiente letterario e delle lettuyre pubbliche si trovava ad estenuanti performances per far collimare i suoi tempi con quelli dei suoi rinnovati interlocutori. Lo faceva volentieri, ma che fatica!


martedì 8 gennaio 2013

Serate di poesia e testi mutanti


Fantastica la sua arte combinatoria, l'elaborazione della versificazione era sempre sorprendente. E ugualmente il modo di lavorarci insieme, il modo stesso di vedersi e di parlarsi. Giovanna al telefono? Un classico di fine giornata (per lei l'inizio...).
Lo stile collaborativo e la scelta di fare poesia per interposto poeta. La  padronanza della lingua, unita a talento e cultura particolari, e alla distanza storica dei classici , le consentivano di scrivere liberamente con  variazioni ispirate, col fare inclusivo che sperimentava apertamente con noi. Ne abbiamo documentato spesso in video il lavoro, ma sono i suoi testi mutanti a portarne l'impronta.



Giovanna Bemporad a fine serata

Proprio per parlarci e lavorare avevamo cominciato anche a parlare di tecnologie (!), per esempio quelle di riconoscimento vocale dell'Ibm. A fine giornata, a fine serata, quando noi andavamo a letto, lei aveva le ore di lavoro più efficaci, e se non c'era la sua Piera nottambula, avrebbe avuto bisogno di un aiuto per fissare le soluzioni dei diversi versi.


Giovanna e i suoi compagni

Giovanna ha empre avuto cura dei suoi amici, tanti. Egocentrica e monomaniaca come tutti gli artisti, ti ascoltava con autentico interesse fino (quasi) ad annoiarsi: e non era solo la sua buona educazione. Una compagna ideale, ad averci le stesse passioni come noi le avevamo in comune.

Serata Bemporad a Monteverde

Parallelamente all’attività di traduzione si è dedicata negli anni alla propria poesia,..diciamo che Giovanna ha fatto parecchie altre cose nel frattempo, per esempio ha dato retta a noi e ne abbiamo tratto profitto.